CENNI CRITICI DI STEFANO LIBERATI

Nell’Arte, in genere, ci sono delle re- gole non scritte e non scrivibili che vanno oltre i confini del razionale per entrare in quello del metafisico: è impressionante costatare quanto la Natura influisca sul produttore di Arte, sull’Artista.
Sembrerebbe quasi che la Natura influisca sul fisico, addirittura sul DNA dell’essere vivente sia uomo sia animale. Quasi quanto la luna agisce sulle maree, e forse anche sui terremoti.
Non voglio qui fare un discorso di paleontologia, né di come si sono evoluti gli esseri viventi e la natura stessa.. ma è un fatto che, a parte esempi come quello della giraffa alla quale nei secoli le si è allungato il collo per meglio raggiungere le foglie degli alti alberi di cui si nutre, è interessante notare come, per quanto riguarda la Scultura (ma anche l’Archi- tettura), un artista che vive nella zona di Carrara, non sia proprio a suo agio a scolpire il legno, né, d’altra parte, a uno scultore, nato e cresciuto a Canazei, come il nostro Andrea Soraperra, verrebbe in mente di scolpire il marmo.
Sembrerebbe quasi un richiamo imperioso della Natura che ordina, comanda ed emana “radiazioni” a tutti gli esseri viventi vicino alla loro sfera d’influenza, a far parte della natura stessa… Il Maestro Andrea Soraperra è un chiarissimo esempio di questo strana circostanza totalmente spirituale, del subconscio antropologico.
Egli, infatti, non solo scolpisce in modo mirabile su legni locali ma addirittura con quel legno rappresenta scene, eventi, momenti del vivere quotidiano della sua gente nel loro territorio. E lo fa utilizzando anche l’Architettura. Infatti, in molte sculture, l’elemento di separazione tra la realtà che ci circonda e l’immagine scolpita non è solo onirico, ma anche materiale: la cornice.
La cornice, sembra essere una porta o una finestra aperta e invitante e lo scultore ci conduce per mano all’interno di questo campo, stanza, o ambiente familiare, dove chi guarda l’Opera, rivive, come spettatore in un teatro, una commedia eterna. Addirittura, talvolta, è la cornice stessa coprotagonista del quadro in bassorilievo prospettico, come per esempio nell’Opera “Romantica”, o nella “Rosso e blu” o “Papaveri “ e in molte altre in cui figure femminili nude o vestite, usano la cornice non solo come supporto fisico delimitante l’immagine, ma spesso è usata come un’esaltazione del sentimento espresso nell’Opera, che sia tristezza o felicità, oppure sogno o realtà.

Nell’opera “Romantica”, l’esegeta trova, nella composizione, una ragazza nuda che è in meditazione ispirata, totalmente in abbandono onirico dove la cornice diviene parte integrante del merito, quasi una scala e nello sfondo tridimensionale, una serie di cerchi cromatici che hanno in alto una mezza luna, elemento classico del romanticismo letterario. Un sogno tridimensionale, prospettico, architettonico, immobile e vivace nella stesso tempo in cui la finzione si amalgama con la realtà.

Qui il legno si fonde assumendo sapore di carne, di corpo della giovane, sodo, elegantissimo, anatomi- camente perfetto con la lunga chioma che sembra perennemente in movimento, scapigliata, o forse pettinata da leggere folate di vento. L’elemento cromatico dà vita alla staticità della scena: delle sagome tonde rosse e bianche su fondo nero fanno ri- saltare il modellato perfetto del suo corpo nudo, che riposa, la testa reclinata su una spalla, vagheggiando momenti di felicità…

Dunque la cornice è elemento architettonico essenziale per una lettura delle opere in chiave antroposofica, in cui si avverte la necessità dello spirito dell’uomo a unirsi, ad avvicinarsi a quello dell’universo.

Prende origine dall’esigenza del cuore e ovviamente dello spirito, a soddisfare un bisogno interiore come fossero reali, fisici.
L’Artista Andrea Soraperra, nella sua grande sensibilità, sente egli stesso questa necessità e tutto ciò che crea ha questo afflato vitale.

Ma uno scultore di grande valore come Andrea Soraperra è in costante evoluzione nel fare Arte ed essa, come i fiori che man mano sbocciano, uno dopo l’altro sullo stesso ramo, si scinde in tipologie. Nella scultura di Soraperra, si notano tre tipi di concezioni iconografiche: la sinottica, quella epistemologica e in fine quella della semiotica talvolta eso- terica, ovviamente applicata alla scultura. Facendo una breve e concisa analisi, e non dal punto cronologico, intendo per iconografia sinottica, come per esempio nell’Opera “Together”, il soggetto principale che trae ispirazione dal- l’Amore….dall’amore completo unificante, vivificante, appagante. Una totale fusione dei corpi e delle anime, dei cuori e degli spiriti. Utopia? Le due figure antropomorfe sorgono da un’unica base e come i rami di una pianta, si sviluppano in altezza, dividendosi e distinguendosi alla sommità delle spalle. Una delicatissima e commovente immagine, in cui i volti sono, appunto, sinotticamente elaborati, senza volontà di fini psicosomatici, ma che emanano vibrazioni meravigliose di Amore, lemma che non ha sinonimi, se non riduttivi. E’ metaforicamente perfetta.

Invece per l’epistemologia, interpretando il lemma, questa volta empiricamente ma significativamente, applicato alla scultura, si possono considerare opere come “ Giocoliere” o “Notturno Veneziano”, che hanno lo scopo preciso indicare la sostanza, l’effettivo significato del soggetto mostrato, senza altri chiarimenti o tentazioni didascaliche, tanta è la loro evidenza, vieppiù illuminati dal titolo delle due Opere, come anche nel meraviglioso “Omaggio a Millet; “Scomposizione”.

Nel realistico “Rua el temporèl”, le tendine della finestra aperta si scompigliano e sventolano come bandiere ai primi soffi del temporale.
E noi siamo lì, esseri alieni che veniamo da un’altra dimensione, che guardiamo e sentiamo e ci immedesimiamo con i due personaggi che sono quasi familiari, ed entriamo, non invitati né veduti, attraverso la finestra, in quella stanzetta in cui un uomo seduto, sta interloquendo con una ragazza in piedi, con un maglione a girocollo, le braccia incrociate con il gesto di chi sente il brivido della folata fredda perché…. “Rua el temporèl…. Fra poco lei chiuderà la finestra e noi usciremo in silenzio.

In questi casi la semiotica rimane fuori dal concettuale. Essa non penetra oltre la visualità.
Perché in questi casi è pace, serenità, umanità nella migliore delle astrazioni. E non richiama studi introspettivi particolari.

Ecco una delle grandi qualità di Andrea Soraperra. Esprimere se stesso: Cicerone diceva; -Animi est enim omnis actio et imago animi vultus, indices oculi- cioè ogni nostra azione (o pensiero) parte dall’animo, e il volto è l’immagine dell’animo, come gli occhi ne sono l’indice. Voglio dire, conoscendo per fama l’Artista Andrea Soraperra, egli espone se stesso nelle sue Opere che sono riflesso della sua intima serenità e antica saggezza.

Già nel primo decennio del Novecento, assistiamo alla nascita di una nuova concezione della scultura che aveva trovato un altro spirito di quello passato dove la scultura e, in genere, l’Arte doveva essere tutta esteriorità romantica, che produceva il cosiddetto feeling, una corrispondenza dei sensi del lettore. Sono Opere complete, aperte e ariose, in cui i soggetti non hanno altre interpretazioni. Semplici, lineari, direi classici. La composizione è talmente eloquente…che la difficoltà tecnica esistente nella loro creazione è ignorata, come per scontata. L’Arte che sopravviene la tecnica, lo spirito sulla materia.

A proposito di semplicità, mi piace quotare un aforisma di Benedetto Croce “La semplicità e la chiarezza sono punti di arrivo e non di partenza”. Cioè ciò che resta quando si è tolto tutto il superfluo.

L’ultima forma tipologica delle Opere dell’Artista Andrea Soraperra è quella che riguarda la semiotica della scultura, cioè quello studio approfondito che ricerca i reconditi significati dell’Opera e li riporta alla luce, talvolta in forma esoterica, associata alla metodologia dell’interpretazione, cioè all’ermeneutica dell’Opera stessa. E Andrea Soraperra, con la sua eccezionale sensibilità intellettuale ha creato lavori che richiederebbero interi volumi di esegesi, sia per la loro bellezza estetica che per i loro significati e le metafore.

Veri capolavori di un vero grande Artista quale egli è.
Solo per citarne uno, il primo che viene nella mia mente ha come titolo: “Prigioniero della Natura”. In esso, ancora una volta, la cornice, vero elemento architettonico di una composizione molto complessa e viva, inquadra in uno spazio esaromboidale, una figura di un uomo nudo, accosciato in maniera drammaticamente efficace, che viene coperto, assorbito, quasi fagocitato da un albero che ha le radici sulla cornice e si espande per tutto il suo corpo per poi continuare nella parte superiore della cornice stessa. Egli cerca di difendersi, di racchiudersi in se stesso, coprendosi con un braccio la testa e la spalla. La spazialità relativa in cui egli si trova, ci conferma la sofferenza di questo essere umano. Bellissimo il corpo, bellissima la mano, bellissimo il piede.

Mi ricorda, per l’estremo effetto metaforico, i “Prigioni di Michelangelo dell’Accademia di Firenze” che avrebbero dovuto fare parte del monumento fu- nebre di Giulio II della Rovere, in cui il Mosè sarebbe stato posto, dopo tanti ripensamenti e rielaborazioni e tante sofferenze, al suo centro.

L’uomo che lotta contro la propria umanità cioè contro il proprio stato di umano che è un limite al libero pensiero, alla libertà di agire e fare, combattendo contro il proprio stato di essere vivente, liberandosi dal fango del peccato connaturato nell’uomo, secondo appunto la concezione neoplatonica della filosofia del tempo, che lo trattiene forse senza speranza. Esso è dunque rispondente al pensiero filosofico dei neoplatonici rinascimentali, esaltanti l’affrancamento dello spirito dalle convenzioni e dalle coercizioni di un tipo “disciplina” fino ad allora imposta..

La modulazione anatomica è trattata in maniera stu- pefacente, la resa finale è esiziale. Dopo aver osservato questo capolavoro, si rimane, per diverso tempo, con un’eco visiva di esso, che resta, come un elemento fotografico dell’immagine labile e latente ma presente nel momento dell’utilizzo.

Per qualche inconscia ragione la figura accovacciata, la cornice, la simbologia e soprattutto la strut- tura architettonica dell’Opera mi fanno risuonare, nel profondo del mio spirito, l’immensa figura di Leon Battista Alberti architetto, con le sue linee romane, armoniose geometricamente ed emotivamente, silenziose nella loro solennità classica.

Una sorta di spazialità cubista della prima ora.
Ma tornando ad Andrea Soraperra, le analisi visive delle sue sculture ci indicano tutta la dimensione di questo riservato, semplice genio della scultura moderna, la cui grandezza ha diritto di un maggiore spazio e conoscenza, ed egli deve essere considerato tra i più sensibili, spirituali Maestri della storia dell’Arte mondiale, destinato a lasciare memoria indelebile e indimenticabile ai posteri.