Il legno ha un’anima, una vita propria. Lo si vuole figlio della sostanza universale, della meteria prima, coeva alla nascita del mondo. Per questo trattiene al suo interno l’eco di una storia millenaria. Si narra che, sotto la pellecorteccia, celi una saggezza infinita e una scienza sovrumana. La grandezza di uno scultore sta nel conoscere la sua storia, quella che sta oltre le apparenze della corteccia, e che scorre assieme alla linfa. Sta nel capire le venature, assecondarle, imprimere forza dove l’energia lignea è forte, lasciare andare la sgorbia là dove il legno si fa dolce e addomesticabile.
Per far tutto questo bisogna conoscere, saper ascoltare, saper rispettare il legno. Andrea Soraperra è maestro nell’affrontare l’oggetto del de- siderio. E non solo perché è nato a Penia, dove gli ultimi alberi incontrano le praterie delle terre alte, le rocce laviche e quelle dolomitiche, dialogando con il cielo e il vento. E nemmeno – o almeno non soltanto – perché è figlio d’arte di quel Toni Gross e della scuola artistica di
Pozza di Fassa che ha forgiato nel tempo artigiani che hanno saputo scavalcare i confini del proprio mestiere avventurandosi nel mondo dell’arte.
Andrea Soraperra è un artista che il legno lo ha nel sangue, e la linfa della pianta si confonde con il rosso liquido della vita umana. Quando scolpisce mette in atto una forma di rito dove il rapporto tra l’artista e la materia è fatto di asporto, di scavo, di volontà di andare dentro la propria opera.
Prima ancora di trasformare il legno in forma e volume, in vuoti e pieni, sceglie il legno giusto, solitamente il tiglio o il cirmolo, per adattarlo ai suoi pensieri, alle sue fantasie che poi materializza. Il cirmolo è legno d’alta quota, forte, robusto, odoroso, tenace e saporoso. Il tiglio è altresì profumato, considerato simbolo di amicizia e di fedeltà.
Da questi trae soprattutto figure umane, stando attento a farle scaturire dalla materia stessa, assecondando i nodi e le torsioni. Figure che sembrano danzare, cercando di liberarsi nell’aria, di raggiungere la grazia. Anche quando donne, uomini e bambini sono inseriti in un paesaggio, queste sculture si offrono sempre come finestre sul mondo di fuori e a contempo su quello di dentro, dove il cuore e l’anima pulsano per un mondo armonico. Come armoniche sono queste opere. Anche quando inserisce il colore, il fine è sempre quello di trovare l’equilibrio del tutto.
In questi ultimi anni, ricercando la purezza e la luce, Andrea Soraperra si è avventurato nel magico mondo di uno dei figli del fuoco: il vetro. Recandosi a Murano, l’isola dove si specchia il mondo intero, nel ha carpito segreti e collaborazioni. Ha cercato, riuscendoci, di inserire ciò che per natura è invisibile, il vetro, in ciò che è evidente, il legno. Utilizzando materiali vari – colore, stoffa, ecc. – crea opere che sono un insieme di sculture, quadri, campi e spazi d’intervento, dove non è esente un tocco di concettualità che porta questi lavori di Andrea Soraperra, sebbene con salde radici nella cultura ladina, fuori dalla tradizione scultorea fassana per offrirsi come colloquio con il mondo. Ovvero pensieri diventati materia e da questa nati per essere posti all’attenzione del pubblico.